È nel personale immaginario che Caty Torta individua figure significative, di grande suggestione: nei repertori che ha messo a punto attraverso gli anni (forme della geometria elementare e combinazioni capaci di occupare e dinamicizzare lo spazio, come scacchiere, archi, dischi, spirali). Salvo che gli elementi già utilizzati come porzioni di un complesso quasi intasato narrare, qui semplificati, isolati, “assolutizzati” guadagnano una potenza emblematica che non ha risontri nella produzione anteriore. Gli stadi del “discorso” sono luoghi immediati, di singolare presenza visiva e tattile; l’artista travasa i concetti nell’evidenza dell’immagine, fa vedere le proprie “visioni”. La “storia dell’atomo” diventa storia di colori tesi a robuste spatolate, che sono ancora i colori di cui scrisse Casorati, da simbolista, nel lontano ’57; ma ora i colori non descrivono, non alludono cercando eventualmente il rilancio allegorico, sono essi stessi figura, non attributo ma sostantivo, semmai ricco e modulato matericamente e tonalmente in se stesso. Insomma il colore “dice senza dire”, cioè imitare e illustrare.
Le forme “assolute” della geometria e i nomi del colore s’incontrano definendo presenze tanto indubitabili quanto irriducibili all’accidentalità dell’apparire.
Al fondo della visione, che manifesta anche l’invisibile, c’è ancora una realtà, la realtà dell’immagine. Casorati ovviamente lo sapeva, ma sapeva anche che bisognava meritarlo quel risultato ed era molto pericoloso invece partire di lì, tanto più supporre che quello fosse un esito acquisito una volta per tutte.
Pino Mantovani