TORINO ARTE – marzo 1976
Galleria Doria
di Adele Menzio
I migliori andarono o ne vennero? Intendo da Casorati, il maestro la cui presenza ancora oggi si avverte nella cultura torinese e massimamente nel retroterra pittorico. Perché, sia caso o no, tutti coloro che ne frequentarono lo studio, quale che sia l’accento che oggi li distingue e le scelte che hanno fatto, sono davvero tra gli artirti più significativi e comunque sempre serissimi e profondamente consci del più severo imperativo professionale.
La storia di Caty Torta è quasi paradigmatica. Vissuta sempre per la pittura dall’infanzia ed anche quando le vicende tristi della vita avrebbero potuto distoglierla dalla pratica artistica.
Non aveva che cinque anni è già disegnava, visitava i musei, faceva amicizia con i pittori e le loro opere.
Più grande fu messa «a bottega» da Alemanni e ne copiò lo stile e le tecniche. Poi improvvisamente cambiò stile, dipinse quadri inventati e liberissimi, tanto che Alemanni se ne meravigliò e scandalizzò e le fece capire che ormai loro due non avevano più un linguaggio comune e tanta vale che Caty facesse fagotto e trasportasse i suoi Lari da Casorati, questo maestro «moderno» che certo l’avrebbe intesa. Casì fu infatti.
Felice Casorati convinse Caty a ricominciare da capo, a disegnare secondo quello stile essenziale che lui pretendeva, e prima di tutto da se stesso.
Caty fu umile, obbediente, disciplinatissima. Casorati di lei amava l’impegno ed ancor più quella sua passionalità sempre in agguato che si esprimeva in una tavolozza violenta, tanto che i colori sembravano racchiudere in se stessi, indipendentemente da ciò che di reale potevano rappresentare, sentimenti ed idee, emozioni e stati d’animo.
In un certo senso anticipatrice (come donna e diciamolo, come torinese), libera dalle mode dell’epoca e da ogni imposizione ambientale, Caty intravede la possibilità di una pittura diversa, timbrica, ritmicamente cromatica, di nuova spazialità, se pure sempre fortemente emotiva se non addirittura appassionata.
Si libera delle «cose», o per lo meno le vede diverse, come costruite nella mente ed ideologicamente; capisce che il quadro può scaturire dalla fantasia, a patto che però che questa sia sempre organizzata e guidata da un pittorico raziocinio ed è in questo equilibrio perfetto tra impulsi emotivi, idee prima e perfetta architettura pittorica che emergono le qualità sue più autentiche.
Adele Menzio